Capon a la canavera - Cappone nel "sacco"

Dal romanzo "Anamnesi" (scritto da mio padre) si sta parlando di Don Alessio, cappellano dell'ospedale di ...
" ... Don Alessio non falliva neppure una allodola.
Così, almeno, riferiva al ritorno.
I preti non dicono bugie; però lui non parlava dall'altare ma con gli scarponi da cacciatore.
Ma neppure questo sport riusciva a ridurgli la circonferenza addominale o, per meglio dire, il calo sarà stato del tutto temporaneo, perché poi, la sera, si pappava trenta uccellini con relative fette di polenta e altrettanti bicchieri di vino.
Per qualche anno, su mio consiglio, s'era recato a Montecatini, ma anche là, il mattino, beveva Tamerici e Tettuccio e la sera, Chianti, per cui desistette ben presto dalla cura dimagrante.
Però il rimedio per la pancia lo aveva trovato lui, da solo.
Aveva fatto ritagliare una mezzaluna dal piano del tavolo per modo che, sedendosi a mensa, poteva allargare nell'incavo l'incomoda prominenza addominale.
Era essa, soltanto essa, che prima, con la sua presenza materiale, riusciva a tenerlo lontano dal piatto.
Vero buon gustaio e mangiatore, non faceva grandi differenze fra l'un cibo o l'altro, a condizione che fosse preparato con le dovute regole.
A questo pensava Teresa, la perpetua, che fin dal mattino, presto, trafficava attorno al focolare.
Subito dopo Messa, poneva sul fuoco il pentolone a bollire, perché don Alessio era un patito del lesso.
Gustava anche tutto il resto, ma il suo piatto preferito era la carne bollita. Manzo, testina, zampone e soprattutto il cappone; meglio ancora "el capon a la canavera".
Il modo di preparare quest'ultima specialità era assai originale.
Ne parlava con tale riverenza, che un giorno dovette illustrarmi la ricetta.
Essa era abbastanza semplice ma comportava una unica difficoltà; oltre al cappone era necessario disporre anche di una vescica di maiale.
Si doveva prendere il pregiato gallinaceo, giunto al punto giusto di frollatura, ed introdurlo nella vescica del suino, attraverso il foro naturale, convenientemente allargato, insieme col sale e con gli aromi a piacimento.
Il buco veniva poi chiuso con giri di refe attorno ad una canna di bambù (canavera), di cui una estremità restava entro la vescica e l'altra sporgeva all'esterno.
A questo punto si poneva il volatile, così fasciato, in un pentolone d'acqua che doveva bollire per circa tre ore; lo si cuoceva senza che venisse a contatto diretto con l'acqua, mentre la canna di bambù, sporgendo dalla pentola a mo' di periscopio, fungeva da sfiatatoio.
Tale accorgimento evitava che il calore facesse scoppiare la vescica del porco e permetteva al suo contenuto di giungere sulla mensa che senza che nulla si fosso diluito nel mezzo liquido di cottura.
Niente brodo ma tutta carne.
- Vede, dottore, - mi diceva il prete - per questo piatto saporito e succulento, per gustare bene questo piatto, a tavola bisogna essere in due; soltanto in due. -
E rivolgendo l'indice al petto, precisava:
- Io ed il cappone. -"